Era il 31 Dicembre del 1992
Con alcuni amici, poco più che adolescenti, ero stato invitato a festeggiare il Capodanno nella villa di una compagna di scuola poco distante da Pioltello. Ci ritrovammo sotto casa. Nel vento freddo, i profumi delle festività e l’odore di polvere pirotecnica, pizzicavano l’olfatto. Il paese durante le festività era una polveriera a cielo aperto. Imbacuccati a festa, tra una battuta e l’altra, eravamo pronti a festeggiare il nuovo anno con la nostra rinomata voglia di fare casino.
Preparati all’ennesima serata indimenticabile ci avviammo verso la strada che, costeggiando i campi da tennis, proseguiva verso Seggiano, ignari che quella notte sarebbe rimasta indelebile per un motivo ben diverso da ciò che ci eravamo prefissati.
Fatti pochi passi, girato l’angolo di via Leoncavallo, sentimmo delle urla. Un uomo sulla trentina chiedeva aiuto biascicando frasi sconnesse. Era in ginocchio, riverso su di una sagoma stesa che non dava segni di vita sul freddo cemento del marciapiede.
Pioltello, purtroppo, era “un’importante” piazza dello spaccio. Capitava spesso di incontrare persone dalle movenze di zombi per le strade, sulle panchine o in qualche sottoscala. Erano gli anni del boom di consumo di eroina. Stavi attento a camminare su di un prato per paura di pungerti con una siringa abbandonata.
Impazzava il terrore di essere contagiati dall’AIDS e la gente evitata i tossici come appestati.
Eravamo giovani, esuberanti, casinisti ma buoni d’animo. Magari lo siamo ancora, ma spesso, crescendo, si diventa cinici.
Ci guardammo attoniti e senza esitare prestammo soccorso. I due si erano appena bucati, e uno, per overdose, rischiava di rimanerci secco. Il disgraziato non aveva polso e non respirava. In attimi davvero concitati, alternammo il massaggio cardiaco alla respirazione artificiale. Samuele ed io, con le mani unite, a comprimere ritmicamente lo sterno e Antonio a suggerire all’amico del disgraziato su come fare la respirazione bocca a bocca. Carlo, questo il suo nome, riprese conoscenza e noi, con l’adrenalina a mille, piangemmo dalla gioia. Quando, quindici minuti dopo, giunse un’autoambulanza, il grosso del lavoro era stato fatto e Carlo fu avviato all’ospedale cosciente.
Dopo l’accaduto, percorremmo a piedi e in silenzio i due chilometri per raggiungere il luogo dove eravamo attesi, ma arrivati a casa di questa amica non sopportammo il frastuono della festa e decidemmo di andare via. Con una birra ed un toast in una qualsiasi paninoteca della zona, sentimmo il bisogno di condividere tra noi ciò che ci era accaduto. Avevamo salvato la vita ad un uomo ed eravamo felici…