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Aprile 18, 2020 da Pioltello sul Meme

Pioltello ’90 – Le regole non scritte di sopravvivenza – Parte SECONDA

Pioltello ’90 – Le regole non scritte di sopravvivenza – Parte SECONDA
Aprile 18, 2020 da Pioltello sul Meme

Crescere a Pioltello, significava aver rubato nella vita almeno una volta una bicicletta per fare il tratto fino alla metropolitana di Cernusco o viceversa (si, lo stesso paese dove andavamo a pestare i nostri coetanei durante il carnevale), aver truccato un motorino, esserti imbattuto in un posto di blocco di vigili urbani o esserti schiantato contro un marciapiede.

Noi ragazzi del quartiere avevamo a disposizione parchetti di cemento con quattro panchine striminzite e prati stepposi che lasceranno il posto successivamente a siti industriali.

Ci si divertiva con un pallone da calcio o qualsiasi cosa simile ad una sfera rotonda da poter prendere a calci fino al tramonto o andando a fare dispetti ai proprietari abusivi di orti a pochi metri dalle nostre abitazioni.

Come già detto, era più forte chi osava e si spingeva oltre il limite.

Per anni, nel condominio di Via Bizet visse un portinaio leggendario; di lui, ex carabiniere, si raccontava avesse una pistola che utilizzava per spaventare chi faceva baccano di notte in cortile. Chiaramente, il nostro gioco preferito, oltre quello di suonare i campanelli dei citofoni e scappare, era di andarlo a disturbare a qualsiasi ora del giorno e della sera anche a rischio di verificare le sue capacità da sniper.

In zona, se mollavi una bicicletta o un motorino senza un adeguato catenaccio di sicurezza, avevi la certezza matematica di non ritrovarlo. Un pomeriggio, non  passò inosservato neanche il mio Garellino sgangherato.

Sparsa la voce del furto subito, io e mio fratello, trovammo gli idioti in possesso del mio mezzo la sera stessa. Erano stati avvistati da un amico che mi chiamò immediatamente.

Il personaggio, con un “sommario processo” per direttissima, si prese due schiaffoni a pugno chiuso e recuperammo il motorino.

Un pomeriggio, gironzolando in bici con i cugini, miei compagni storici, tra cui Mirko che abitava nel mio stesso pianerottolo e Giuseppe poco distante dalla nostra via, ci imbattemmo in una sparatoria. Un inseguimento in auto finito contro la cancellata delle nostre abitazioni, sfociò in un putiferio: il malvivente in fuga e i carabinieri armati di mitragliette che gli sparavano contro. Noi terrorizzati e le nostre mamme disperate sui balconi a cercarci. Le forze dell’ordine non riuscirono a scovare colui che nella zona era conosciuto come “spiderman”.

Con un fisico atletico, nonostante tossicodipendente, aveva un’agilità fuori dal comune. Si diceva che riuscisse ad entrare negli appartamenti per svaligiarli scavalcando dai balconi fino ad arrivare ai piani più alti. E come spesso accadeva, un cattivo esempio, dai ragazzini e adolescenti della zona, veniva idolatrato come un mito.

A Pioltello, era consuetudine considerare “gli zanza”, i delinquenti, i ladri d’auto e sopratutto i picchiatori dei veri e propri eroi popolani.

Questo era l’ambiente dove noi vivevamo e quelle che per molti coetanei altrove sarebbero potute essere caramelle e giocattoli, per noi, erano canne, coltelli e in qualche caso anche pistole vere.

Ovviamente, la nostra infanzia e gioventù non è stata solamente “la palestra della sopravvivenza in strada…”

      E quando, al termine dell’anno scolastico, l’associazione sportiva di pallavolo, organizzava il torneo internazionale, tutta la zona adiacente l’istituto si riempiva di caravans e tende da campeggio. Arrivavano giocatori da tutta Europa ma soprattutto atlete poco più grandi di noi. Per le nordiche, risultava normale nei momenti di relax tra un match e l’altro prendere il sole in toppless e noi ragazzetti, per un paio di giorni all’anno, con gli ormoni in subbuglio, andavamo praticamente fuori di testa. Un pomeriggio, una squadra di Italiane, accortasi che stavamo spiandole dal finestrone che dava sul vano docce, sequestrò il mio amico Mauri che fu costretto a rimanere dentro lo spogliatoio con loro tutte nude attorno. Con tono minaccioso gli dissero: – E ora che ci puoi vedere da vicino, che fai? Per Mauri, nonostante l’imbarazzo, quel pomeriggio, rimase davvero indimenticabile come lo è stata, nel bene e nel male tutta la nostra vita di quartiere!

Continua…

Simone Leon 

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