Soprattutto in questo periodo di reclusione mi ritrovo a pensare ad un’esperienza che, più o meno, abbiamo fatto tutti da piccoli: l’oratorio estivo. Quando avevamo la possibilità di correre e giocare insieme agli amici non ci curavamo di quanto meraviglioso fosse e di quanta fortuna avessimo.
Quando ero piccola io, al Sant’Andrea c’era ancora don Gianni: capelli scuri, occhiali e una predilezione per il vino che si faceva offrire ogni volta che veniva a benedire le case, almeno da mia madre.
Le giornate erano di un torrido incredibile, ma la voglia di giocare tutto il giorno sovrastava il caldo estivo che picchiava sulle nostre teste, coperte solo dal cappellino colorato che differenziava le quattro squadre. La mattina, prima di tutto, si doveva ballare la sigla dell’oratorio, che cambiava ogni anno, e le altre canzoni che si ripetevano anche quando la giornata finiva, dopo di che si poteva iniziare a giocare.
Capitava spesso che una parte delle squadre, di solito la cosiddetta “prima fascia”, venisse mandata al Centro Lazzati dove i vecchietti insegnavano a giocare a bocce. Una delle cose più belle del mondo.
Ogni giorno il momento più temuto era quello appena prima di pranzo, perché dal megafono veniva annunciata quale delle squadre avrebbe dovuto apparecchiare e sparecchiare e, ogni giorno, tutti speravano che non fosse il proprio turno, non tanto per il gesto in sé quanto per il caldo che si trovava in palestra. C’era addirittura chi si nascondeva per sviare a questo compito!
Dopo mangiato venivamo lasciati liberi e poi ricominciavano i giochi organizzati: da castellone (in fin dei conti, a Pioltello, ci siamo cresciuti con la filosofia dei castelli), a bulldozer, a bandiera-calcio-basket, in cui la maggior parte di noi ha perso i gomiti o le ginocchia, a cavalli e cammelli.
Quando finivi di giocare eri nero come il carbone, sudato da fare schifo ma felice da morire. In fila alla fontanella e al bagno, per bere e riempire i capellini d’acqua da buttarci in testa, eravamo davvero dei bambini felici.
Ogni giorno tornavamo a casa stremati, puzzolenti e coperti chi di erba e chi di polvere, quella polvere che si alzava dal campo di ghiaia ogni volta che muovevi un passo.
Una volta alla settimana, poi, c’era la giornata in piscina, ovviamente non si poteva scappare né dalla preghiera né dai balli, ma già evitare la palestra era un grande trionfo. Il tragitto dall’oratorio alla piscina lo facevamo in fila, una fila ordinata che durava circa quattro minuti.
La piscina riusciva a rompere la routine quotidiana: essere consapevoli che dopo i giochi avevi la possibilità di tuffarti in acqua era sicuramente meglio che riempire il cappellino alla fontanella. Fino a quel “TUTTI FUORI DALL’ACQUA”, che faceva alzare i lamenti, perché le giornate in piscina non duravano mai abbastanza.
Ora penso a quei momenti, a quanto eravamo fortunati, a quante volte siamo caduti e abbiamo litigato e a quanto ci siamo picchiati. Era proprio bello.
Ci sono stati un sacco di momenti così che abbiamo sempre dato per scontato e che abbiamo iniziato ad apprezzare solo quando non potevano più essere vissuti con gli occhi dei bambini. Eppure, quel mese e mezzo di oratorio estivo era bello, bello da morire.
Beatrice Zomer